STUDIO DI PEDAGOGIA CLINICA

Dott.ssa Sara Cundari

Pedagogista, Pedagogista Clinico

Professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013. 

Iscritta nell’elenco ANPEC n.4628 e nell'elenco dei Pedagogisti SINPE n.2928

 

Scuola

L'apprendimento e gli insuccessi scolastici

Se immaginassimo una classifica delle preoccupazioni che accomunano i genitori, l’apprensione per l’ingresso del proprio figlio alla scuola primaria è tra i primi posti. Molto frequente tra i genitori è preoccuparsi di come il bambino reagirà il primo giorno di scuola, se s’inserirà bene nel nuovo gruppo, se riuscirà a sostenere i nuovi ritmi, se imparerà a scrivere e leggere come tutti o se avrà qualche difficoltà… preoccupazioni legittime per ogni genitore. La scuola per alcuni bambini è vissuta con naturalezza e serenità che assumono con gioia la nuova identità di scolaro, ci sono, poi, bambini che tra tira e molla riescono sufficientemente e altri ancora, che per svariati motivi, sperimentano l’insuccesso scolastico facendo risuonare nei genitori un campanello d’allarme.

E se provassimo per un momento a ri-metterci nei loro panni? In effetti, imparare una quantità enorme di nozioni “nuove”, scrivere, leggere, far di conto, seguire le regole, stare composti, memorizzare, mantenere un ordine sul quaderno, ascoltare... Tutto questo è una gran fatica! A maggior ragione se fino a ieri il mio più grande e faticoso lavoro era….GIOCARE! Tutte le nuove attività della scuola hanno bisogno di un tempo “soggettivo” prima di essere interiorizzate dal bambino.

L’apprendimento, in effetti, è un processo che vede le potenzialità della persona definirsi progressivamente in nuove capacità a risolvere problemi, inoltre l’apprendimento è paragonabile a qualcosa che nella vita di tutti i giorni ci spinge ad agire in base agli obiettivi che ognuno di noi si prefigge. Per apprendimento s’intende solo quello scolastico?

Si possono distinguere:
 - Apprendimenti “naturali” come per esempio quello motorio e il linguaggio. Questi si sviluppano spontaneamente quando ha avuto luogo la maturazione biologica e i fattori emotivo-motivazionali.

- Apprendimenti scolastici sono quelli in cui occorrono stimoli specifici attraverso i quali saranno possibili gli apprendimenti di compitazione, di lettura, scrittura e del calcolo.

Quest’ultimo è’ un processo psichico molto complesso, dove entrano in gioco tante facoltà simultaneamente: l’immaginazione, la percezione, la memoria e fissazione, la motivazione, le attese degli altri, l’abilità di elaborazione del dato, la percezione spazio-temporale...e chi più ne ha più ne metta. Non è un giochetto da ragazzi insomma! Per questo non tutti gli scolari vivono allo stesso modo l’esperienza della scuola, perché ognuno di noi ha un tempo soggettivo. Il rendimento scolastico è il tema su cui poggia la prevalenza di conflitti tra genitori e figli in quanto i punti di vista dei soggetti sono completamente diversi.

Un genitore si preoccupa del rendimento scolastico del figlio perché è mosso dall’apprensione per il suo futuro, ma il bambino non ha coscienza di questo concetto tanto a cuore nel genitore. Per il bambino futuro significherà domani o al massimo tra qualche giorno. Dal momento in cui il bambino non ha capacità di concettualizzare il futuro nei termini di cui parlano i genitori, per lui il presente ha un valore unico. Il bambino non è assolutamente preoccupato per il futuro, per lui ha importanza ciò che succede a scuola giorno per giorno poiché è questo l’ambiente in cui concepisce la sua vita fatta sì, dai compiti, ma anche dalle relazioni con i compagni, di come emerge nel gruppo in altri termini la sua vita emotiva e affettiva interiore, il rapporto con i genitori, con fratelli…

E’ tipico di ogni tempo storico che un bambino che va bene a scuola riceve molte ricompense dai genitori, dai compagni che vogliono fare i compiti con lui, dalle maestre che lo elogiano a modello. Un bambino che ha le abilità, ma non va bene a scuola ha sicuramente dei motivi che spiegano il suo fallimento, motivi più schiaccianti della voglia di ottenere tante gratificazioni. Ricordiamo che non esiste un bambino che va a scuola per essere promotore di negatività per se stesso. Un bambino che va a scuola è comunque spinto da una forte intenzionalità nonostante i risultati dimostrino di “non saper fare”. Ma quali sono i fattori che possono influire nel rendimento scolastico?

L’apprendimento, nella sua complessità, è una funzione globale della personalità giacché si attivano, non solo, meccanismi neuro-sensoriali e psichici, cognitivi, ma anche affettivi e motivazionali. Quando non si è alla presenza di un problema di tipo neurologico la scarsa abilità ad apprendere può derivare da:

- FATTORI AMBIENTALI (socio-affettivo): scarsa velocità di esecuzione, sfiducia nel riuscire, poca disponibilità a prestare attenzione, inadeguata coscienza di sé, insicurezza, basso livello di tolleranza alle frustrazioni.

- FATTORI PERSONALI DEL SOGGETTO: disordini sulla lateralità, difficoltà nella coordinazione e nell’equilibrio, mal destrezza, difficoltà nell’organizzazione spaziale, immaturità nell’autonomia…

Qui entra in gioco il lavoro più importante che tocca alle maestre della scuola dell’infanzia, in altre parole quello di lavorare attraverso le attività ludiche sui fattori che pre-cedono la scuola primaria. A volte l’atteggiamento di un genitore di fronte a situazioni di scarso rendimento scolastico del figlio è di arrabbiarsi ma questo è anche il modo più comune di affrontare una situazione in cui si è coinvolti emotivamente.

E’ perciò consigliabile prendersi il tempo per osservare i segnali che arrivano, parlare con le insegnanti, evitare gli atteggiamenti punitivi, cercare il dialogo con i figli, non escludere il confronto con uno specialista se questo ci può far stare più tranquilli o è suggerito dalla scuola. Quando abbiamo un problema, grande o piccolo che sia, la nostra visuale si restringe e spesso si focalizza solo sulle questioni irrisolte, quindi sul problema anziché sulle risorse che abbiamo a disposizione per affrontarlo. Ricordiamoci che i bambini sono naturalmente curiosi verso le novità ed è quindi importante lasciare loro il tempo di ambientarsi e scoprirsi, senza avere nei loro confronti aspettative troppo alte.

A scuola con un anno di anticipo?

Dopo le vacanze di Natale,  per i genitori dei bambini che frequentano l’ultimo anno della scuola materna, arriva il momento dell’iscrizione alla scuola primaria. Per ogni famiglia è un momento emotivamente fondamentale. La preoccupazione di come reagirà il figlio alla nuova esperienza ne fa generalmente da padrone, a maggior ragione se c’è di mezzo la scelta dell’anticipo scolastico. Dunque Anticipare o no? Quali sono i requisiti per accedere alla primaria in anticipo?

Dalle indicazioni del Ministero dell’istruzione si legge: “L'anticipo di iscrizione alla scuola primaria è consentito ai bambini che compiono sei anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento. L'ammissione anticipata avviene su domanda della famiglia al momento delle iscrizioni e deve essere accolta dalla scuola, subordinatamente alla disponibilità dei posti e ai criteri di precedenza deliberati dal consiglio d’istituto. L’annuale circolare sulle iscrizioni raccomanda alle famiglie di consultare i docenti della scuola dell’infanzia frequentata dal proprio figlio prima di procedere alla iscrizione anticipata alla scuola primaria”.

La consultazione dei docenti della scuola d’infanzia di provenienza è fondamentale per valutare insieme le abilità del bambino, quindi suggerire ai genitori l’anticipo o sconsigliarne l’opportunità tramite delibera del consiglio di istituto. Sull’argomento sono molti e discordanti i pareri, certamente ogni famiglia deve decidere in libera autonomia. Ma perché è fondamentale valutare obiettivamente la possibilità di frequentare la scuola primaria con un anno di anticipo? E’ rilevante considerare lo sviluppo “globale” del fanciullo, quindi, lo sviluppo cognitivo (le attività intellettive, il linguaggio), quello affettivo-emotivo-relazionale e lo sviluppo fisico. Secondo lo psicologo Stern, “l'intelligenza è la capacità di utilizzare, in modo adeguato allo scopo, tutti gli elementi del pensiero necessari a riconoscere, impostare e risolvere nuovi problemi”. Chi sceglie l’anticipo lo fa in genere perché ritiene che il bambino sia intellettualmente pronto, nel senso che il bambino sa già leggere alcune paroline, sa scrivere i nomi, mostra curiosità... ma non c’è solo questo!

E’ importante considerare il controllo che il bambino ha di sé, la capacità di concentrazione, l’autodisciplina, elementi che arrivano in modo naturale attraverso l’esperienza, l’esplorazione e il gioco. Oltre allo sviluppo cognitivo bisogna considerare quello socio-affettivo-emotivo quindi l’autostima, le relazioni interpersonali, la socializzazione nonché lo sviluppo fisico, quindi la coordinazione, la manualità-bimanualità, il senso del ritmo, la sperimentazione dello spazio euclideo. Secondo il medico e pedagogista, Maria Montessori, l'ambiente è fondamentale per l’apprendimento poiché gli adulti possono creare infinite opportunità nell’offrire un ambiente ricco di stimoli, che  spontaneamente i bambini colgono ed elaborano seguendo i loro naturali tempi. Citando ancora Montessori, reputo interessante ricordare come non amasse chiamare la sua didattica “Metodo” piuttosto ricorre a espressioni come “Aiuto alla vita “o “Sostegno allo sviluppo del bambino” giacché si tratta di un processo di potenziamento e di valorizzazione delle risorse insite nel bambino.

L’apprendimento è un processo psichico molto complesso, poiché entrano in gioco simultaneamente moltissime facoltà, quali l’immaginazione, la percezione, la memoria e fissazione, la motivazione, le aspettative degli altri, l’abilità di elaborare un dato, l’organizzazione nello spazio, la disponibilità a prestare attenzione, la coscienza e la conoscenza del sé corporeo, la maturata lateralità, l’equilibrio, l’organizzazione spaziale., tutti elementi che costituiscono l'autonomia nel bambino. Quanto allora i nostri bambini sono autonomi? Apro questa riflessione perché l’approccio olistico, visione sposata dalla Pedagogia Clinica, ci fa osservare e concepire il bambino nella sua globalità (fisico, intellettivo, affettivo...) e può essere d’aiuto nella riflessione sull’anticipo a scuola. Immaginiamo un bambino di cinque anni che legge e scrive il suo nome, che riconosce i numeri, l’alfabeto, le vocali ma, per fare degli esempi, non è completamente autonomo a tavola, o non ha cura dei suoi giochi, non ha ancora ben acquisito autonomia nel vestirsi o non ha acquisito l’autocontrollo,  questo bambino non sarà completamente pronto per essere anticipato, ha bisogno di esplorare ancora e fare esperienza. Il fatto che un bambino non abbia completamente raggiunto l’autonomia, non deve scoraggiare i genitori né fare paragoni, ma osservare la situazione da un altro punto di vista: leggere il segnale che il bambino ha ancora in sé tutte le qualità, in fondo il termine Educazione deriva dal latino “ex-ducere” tirar fuori ciò che ancora giace in ogni persona.

La crescita è lo strumento che la natura ha generato per consentire a ogni persona di apprendere più cose possibile, di selezionare le conoscenze e metterle in pratica in contesti adeguati. E’ significativo offrire al bambino esperienze che lo coinvolgano e lo rendano consapevole della sua crescita come la musica, lo sport, il movimento, l’arte, il gioco, la socializzazione...Preparare il bambino al suo più faticoso lavoro è un dovere morale! E’ più importante arrivare primi o arrivare bene? 

S.o.S. compiti... Educhiamoli alla concentrazione e alla motivazione

Viviamo in una società frenetica e la poca pazienza nei confronti dei nostri bambini ci conduce a conclusioni affrettate sulle loro potenzialità. Si parla troppo spesso di bambini con difficoltà di apprendimento, troppe diagnosi! Mi allarma vedere che tanti bambini, figli di questo tempo sono emotivamente abbattuti, demotivati e con una bassa autostima. Si ente parlare troppo di disturbi dell’apprendimento e i numeri sono realmente allarmanti!

I bambini di oggi sono sottoposti a molti più stimoli rispetto al passato…non basta più la televisione, ci sono anche i videogiochi, gli smartphone, i tablet e nonostante ci si meravigli che basta dare in mano a un bambino piccoli un telefono in mano per scaricare un’applicazione in un batter d’occhio, allo stesso tempo non ci si rende conto dei danni che questi strumenti apportano. Perché tanti bambini non riescono a stare seduti a fare i compiti o mantenere l’attenzione in classe durante la lezione? E perché allo stesso tempo questi stessi bambini riescono però a stare fermi e attenti davanti la tv e a un videogioco per tempi lunghi?

Qualcosa non mi torna. Andiamo per gradi. Il cervello umano è programmato per funzionare in modo naturale ed elaborare in un secondo non più di 10 stimoli visivi.

- Tv, pc, tablet, smartphone inviano segnali luminosi e sonori molto rapidi e superano i 10 stimoli al secondo.

- Trascorrere troppe ore in compagnia di strumenti tecnologici porta a una repressione delle emozioni perché per avere un naturale sviluppo emotivo i bambini devono sperimentare il “sentire” le emozioni e non solo vederle riflesse in un’immagine. Quando il bambino dovrà gestire un’emozione non riconoscendola esploderanno in emozioni incontrollate di rabbia e pianto.

- Troppo tempo davanti a un apparecchio elettronico innesca una “pausa mentale” in cui essendo il corpo e gli occhi fermi anche il pensiero attivo viene represso.

- Trascorrere molto tempo con questi strumenti tecnologici non si allena la PAZIENZA poiché si ha la possibilità di cambiare ogni qualvolta ci si annoia (es. del cambiare canale), né tantomeno si allena la PERSEVERANZA E LA CONCENTRAZIONE (affrontare un compito che in un determinato momento non si riesce a risolvere.)

La risposta quindi è: i bambini sono cosi abituati ad essere sottoposti a moltissimi stimoli rapidi che stare fermi seduti e concentrati a fare un compito per loro è una gran fatica ma soprattutto un lavoro a cui non sono assolutamente abituati. Tutta questa premessa per sottolineare che le motivazioni per cui i bambini non riescono a stare concentrati va prima di tutto ricercata nella loro capacità di allenare la concentrazione che è comunque innata in loro.

Quindi cari genitori tenete presente la vostra missione! Misurate il tempo che i vostri bambini trascorrono davanti agli apparecchi elettronici perché ciò influenza la loro concentrazione nei compiti quella capacità di mantenere l'attenzione durante un compito e quindi fondamentale per l’apprendimento. Per lavorare sulla concentrazione è importante che il bambino vada a nanna alla stessa ora preferibilmente dopo una bella fiaba della buonanotte e che riposi un numero di ore sufficienti in relazione all’età.

Secondo l’American Academy of Sleep Medicine le ore necessarie sarebbero:


- 4/12 mesi: dalle 12 alle 16 ore
- 1/2 anni: dalle 11 alle 14 ore
- 3/5 anni: dalle 10 alle 13 ore
- 6/12 anni: dalle 9 alle 12 ore
- 13/18 anni: dalle 8 alle 10 ore

Dedicarsi ai compiti subito dopo pranzo non è consigliabile, molto semplicemente perché nella fase digestiva è più complicato e faticoso per i bambini dedicarsi a un’attività (in effetti lo è anche per noi adulti!).

MOTIVAZIONE INTRINSECA ovvero la spinta interiore che ci porta a fare qualcosa per il gusto, la curiosità di farlo e non perché ci sarà una ricompensa.
MOTIVAZIONE ESTRINSECA ovvero il soggetto si impegna nella realizzazione di un compito per ottenere benefici o evitare circostanze negative.

Anche l'ambiente in cui il bambino studia è importante, infatti questo deve essere libero da distrazioni (tv, telefoni, rumori), ben arieggiato e luminoso. Inoltre preparare la scrivania con i quaderni e i libri necessari per lo svolgimento dei compiti lo aiuterà ad avere chiaro il carico di lavoro da svolgere e man mano che i compiti sono stati svolti metterli da parte. Indispensabile fare delle pause di 5 minuti in un lasso di tempo che varia dai 20-30 minuti. Se il bambino si imbatte giornalmente con insuccessi scolastici la sua motivazione, ovviamente, sarà molto bassa e si sentirà demotivato entrando in un circolo vizioso del “non lo so fare”, “non sono in grado”, “non sarò mai bravo come…”

Per spezzare questa modalità di giudizio critico è essenziale un buon livello di autostima quindi è bene lodare e incoraggiare il bambino per l’impegno e allenarlo alla concentrazione. Vi starete chiedendo in che modo? Non con l’imposizione, perché si otterrebbe il risultato opposto suscitando nervosismo e frustrazione, ma con strategie semplici e mirate basate su azioni quotidiane.

- Farsi aiutare ad apparecchiare la tavola dando indicazioni cronologiche (per es. chiedere di portare prima 3 tovaglioli e poi 3 forchette e i cucchiai e cosi via…)

- Incitarlo a trasportare un bicchiere con un po’ d’acqua facendo attenzione a non rovesciarlo…

- Lavorare insieme sull’osservazione di una foglia, la pioggia, un tramonto…

- Sentire i profumi (la salvia, il rosmarino che abbiamo nella dispensa o mentre si cucina una pietanza, la frutta, i formaggi..)

- Educarlo alla discriminazione dei suoni (durante una passeggiata far notare al bambino che gli uccellini stanno cantando nonostante il rumore delle macchine…

- Giocare allo specchio a fare le imitazioni insieme.

- Chiedere dei suoni o dei rumori che ha sentito al compleanno, al mare al parco...

- Giocare insieme a cogliere le differenze e le similitudini.

- Far esplorare le varie tipologie di sensazione al tatto (ruvido, liscio…)

- Proporre dei piccoli problemi reali e chiedere come si possa risolvere, accogliendo senza giudizio le sue proposte.

Cari genitori ed educatori sono tantissime le esperienze da fare per aiutare i bambini ad allenare la concentrazione...non servono strumenti particolari...via libera alla creatività!

"Trattate le persone come se fossero ciò che dovrebbero essere e aiutatele a diventare ciò che sono capaci di essere" 

W. Von Goethe

Pedagogia Clinica Conegliano - Dott.ssa Sara Cundari - Studio Pedagogico "Paideia"