STUDIO DI PEDAGOGIA CLINICA

Dott.ssa Sara Cundari

Pedagogista, Pedagogista Clinico

Professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013. 

Iscritta nell’elenco ANPEC n.4628 e nell'elenco dei Pedagogisti SINPE n.2928

 

Educazione

L'autostima dei bambini...Da dove cominciare

E‘ molto comune che un genitore si preoccupi oltre all’educazione del proprio figlio anche del suo benessere emotivo. Mi capita molto spesso di incontrare bambini con una bassa autostima e di conseguenza genitori che mi chiedono “cosa fare per aiutare mio figlio e aumentare la sua autostima?”

L’autostima è la Valutazione positiva delle proprie capacità. È un sentimento soggettivo che deriva dalle esperienze acquisite nel percorso della vita, perché sostanziate da approvazioni, da conferme interiorizzate ed elaborate che hanno influenzato e potenziato positivamente la visione che la persona ha di se stessa. Una condizione psichica favorevole per un integrato sviluppo della personalità e per una reale emancipazione (cit. Dizionario di Pedagogia Clinica ed. scientifiche isfar, Firenze, 2015). Le reazioni dell’ambiente condizionano in modo determinante la stima che ogni persona ha di sè, ragion per cui il “concetto di Sé” e “l’autostima” si sviluppano attraverso un processo di scambio tra bambino e ambiente (genitori, fratelli, nonni, zii… ) Per reazioni degli altri ci si riferisce non ad un singolo episodio ma a una serie che nel tempo si ripetono. Detto ciò precisiamo che non è il rimprovero del genitore al figlio fatto in un momento di stanchezza e nervosismo a intaccarne per sempre la sua autostima! L’autostima si edifica in relazione alle aspettative che il bambino ha di sé e che la famiglia la scuola, amici, educatori hanno del bambino. Le aspettative sono trasmesse dalle parole ma soprattutto dal tono di voce.

Immaginiamo un bambino che rientra a casa da scuola dicendo al genitore: “ho avuto 6 nella verifica di scienze quella per la quale ho studiato tutto il weekend”. Una risposta “bravissimo! sono fiero di te” emessa con sguardo serio, facendo altro e senza guardare negli occhi il bambino non ha lo stesso valore della frase “bravissimo! sono fiero di te” emessa con un sorriso, lo sguardo diretto e perché no, un abbraccio. Oppure immaginiamo un bambino più piccolo che sta imparando ad allacciarsi le scarpe. Mentre esplora la sua abilità e non riesce a far bene sarebbe opportuno evitare “ bravo, adesso però lascia che finisca io“ piuttosto con un sorriso e un tono accogliente: “Ti stai impegnando molto: dai che ci sei quasi”. Molto spesso nel dire qualcosa non ci si accorge del messaggio non verbale che può passare.

E’ importante ricordarsi che conta l’impegno e che anche se ogni bambino è unico e irripetibile, i suoi bisogni sono quelli di ogni essere umano. Abraham Harold Maslow, psicologo americano, nella sua pubblicazione “Motivazione e personalità” ha esposto la piramide dei bisogni umani. Secondo Maslow, bisogni e motivazioni vanno di pari passo, sono strutturati in più livelli e il passaggio da un livello all’altro avviene solo dopo aver soddisfatto i bisogni del livello più basso della piramide.

Parlando di autostima nel bambino pensiamo al bambino e al suo bisogno di sicurezza, di protezione e consolazione. Un bambino si sente al sicuro nella sua casa con i genitori vicino. Se i genitori dovessero allontanarsi spesso s’intende, il bambino avverte il pericolo. Oppure pensiamo un bambino al parco che perde di vista la mamma...appena la mamma si riavvicina, la presenza e un tono di voce calmo infondono in lui la rassicurazione. I bambini hanno bisogno di crescere in un ambiente che può assicurare loro il supporto e nel quale la routine, la regolarità infondono (almeno fino alla 5 elementare) la sicurezza di potersi muovere sia dentro casa ma soprattutto allontanarsi (dormire dai nonni, giocare dal vicino di casa, andare a scuola) e al suo ritorno verificare che nulla è cambiato. Star bene a casa significa ,inoltre, avere la sicurezza di avere uno spazio tutto suo dove può sentirsi libero e nel quale può decidere di starci e se condividerlo con altri. Questo “spazio suo” può essere anche un piccolo angolo dove condivide un momento di gioco con un genitore, per esempio. E’ uno spazio, un rifugio per il bambino in cui si sente sicuro e nel quale vive emozioni positive nutrendo la sua persona.

Nutrire l’autostima significa anche poter sperimentare, prendendo decisioni, apprendendo dai propri errori, imparando ad affrontare le situazioni, sperimentare la “resilienza” ovvero la  capacità di far fronte in maniera positiva alle difficoltà. Sentirsi accettati per quello che si è e non per quello che il genitore vorrebbe, è un grande inizio. Dettaglio preliminare è incoraggiare i bambini ad esplorare l'ambiente come assaggiare nuovi cibi, facendolo relazionare con nuovi bambini, invogliarlo ad arrampicarsi sugli alberi...non importa se incorre in un insuccesso, ci riproverà! Resistere alla tentazione di intervenire per aiutarlo non è semplice ma bisogna imporselo perché facendo in quel modo si rischia di aumentare la dipendenza e diminuire l’autostima, dunque trovare un giusto equilibrio tra il bisogno del genitore di proteggerlo e la missione genitoriale di aiutarlo a crescere.

In fondo ogni essere umano, se incoraggiato, si attiva positivamente! E’ Fondamentale riconoscere le cose buone che il bambino fa e verbalizzarle in modo tale che sappia che cosa ha fatto bene, questo lo renderà unico ai suoi occhi e non confrontato con altri! E’ importante, inoltre, far passare il messaggio che ogni persona ha debolezze e potenzialità e che non è necessario essere perfetti per star bene con se stessi!

I bambini... L'aggressività, la rabbia...

E' piuttosto comune che nonostante gli sforzi di mamma e papà alcuni bambini mettano in atto comportamenti aggressivi, di natura fisica o verbale verso se stessi o gli altri. Quante volte è capitato di vedere i nostri bambini subire graffi, morsi o essere loro stessi aggressivi? Spesso questi comportamenti si protraggono dai 18 mesi sino alla fase pre-scolare, per poi attenuarsi pian piano. Il termine Aggressività deriva dal latino ad-gredior “cammino in avanti”, “vado verso”, verso gli altri, verso la vita, verso la realizzazione di sé. Nel caso specifico ci riferiamo all’aggressività come forza vitale e positiva, che promuove il movimento del bambino verso l'autonomia, l'esplorazione e sin dalla nascita rappresenta il mettersi in relazione. 

L'aggressività nei bambini è funzionale ai suoi bisogni di crescita. D.W. Winnicott, pediatra e psicanalista infantile, scriveva: "l'aggressività fa parte dell'espressione primitiva dell'amore, ed è legata all'oralità del bambino, all'esperienza sia fisica che mentale della fame, al piacere, al nutrimento ed alla sua insoddisfazione, che genera frustrazione, rabbia e ostilità, e desiderio di distruggere proprio l'oggetto di desiderio e di amore".

Winnicott parla dell’aggressività come di due facce della stessa medaglia che sono: nutrire e distruggere in altri termini l’aggressività se mal gestita, può diventare energia distruttiva per sé e per gli altri, diversamente può diventare una spinta vitale verso gli altri e verso la realizzazione di sé. Nei bambini l'aggressività è una modalità comunicativa e di crescita che si modifica e progredisce in rapporto alle fasi di sviluppo del bambino, per questo relazionata all’età. Nei casi in cui si conosce la motivazione del disagio espresso dal bambino attraverso comportamenti aggressivi è importante predisporre un intervento che sarà tanto più opportuno quanto prima verrà intrapreso. I bambini che manifestano un comportamento aggressivo e distruttivo di fronte ai no, per esempio, hanno un’autostima che interpella ricorrenti conferme e sono bimbi che hanno paura di essere inadeguati.

Tale paura li pone spesso in una situazione difensiva che li spinge anche ad incolpare gli altri per i propri sbagli. Nella gestione di questi atteggiamenti il gioco ha un valore importantissimo, sia il gioco libero o spontaneo che contribuisce al benessere del bambino che inizia a prendere dimestichezza con i propri stati emotivi ed elabora le esperienze vissute, sia le attività di gioco strutturato che sorreggono l’empatia, le abilità sociali, l’autostima, l’autocontrollo, canalizzare l’aggressività in maniera appropriata, concedere l’espressione della rabbia nel gioco simbolico, favorire la risoluzione dei problemi, esercitare la pazienza e l’attesa. Anche L’Assemblea Generale e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite hanno riconosciuto, il valore per il bambino di riposare e giocare liberamente, di potersi dedicare alle attività ricreative proprie della sua età, nello specifico nell’ art. 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata il 20 novembre 1989, si legge: 

- Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
- Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

Nel primo anno di vita il bambino manifesta atteggiamenti aggressivi con pianti, urla, attua quindi una modalità per  reagire alle frustrazioni ma anche per comunicare. Intorno ai due-tre anni il bambino impara a dire “no” e inizia a far valere la sua determinazione comprendendo l'effetto che i suoi comportamenti suscitano sulle persone e sull'ambiente, comprende in questo modo la distinzione tra il sé e l’altro da sé. Il bambino piccolo che reagisce in modo aggressivo a un richiamo è impaurito dall’incapacità di gestire la rabbia. In questo caso i genitori hanno il compito di “rettificare” con un atteggiamento tranquillizzante e contenitivo e dando il buon esempio, chiarendo che alcune cose non vanno fatte e più di ogni altra cosa perché.

Tra le esperienze che possono alimentare l'aggressività e la rabbia nei bambini troviamo la gelosia nei confronti di un fratello. Ma perché un bambino aggredisce? Un bambino aggredisce per quegli stessi sentimenti che sente dentro di sé e che non comprende e cosa ancora più grave per lui è che le persone che lo fanno arrabbiare sono proprio le stesse che lui ama. Un intreccio di emozioni! Allora Cosa fare? È importante non farsi prendere dal nervosismo, fermarsi, osservarlo,  analizzare la circostanza della situazione, comprendere i suoi sentimenti. E’, inoltre, importante intervenire in modo autorevole se il bambino comincia a superare certi confini e mette in pericolo se stesso e gli altri. Nella normale routine quotidiana è abbastanza ordinario che alcuni atteggiamenti dei bambini mettano a dura prova la pazienza di mamma e papà travolgendoli in frasi e atteggiamenti che anziché calmare i bambini li accendono ancor di più. Esiste un modo adeguato di relazionarci ai bambini che vivono un momento di rabbia? Immaginiamo un bambino che lancia un oggetto in aria o contro un mobile; potrebbe essere d’aiuto mostrargli un'altra prospettiva quindi farlo comunicare con la sua emozione momentanea: “stai lanciando il gioco a terra. Non ti piace giocare con questo gioco? E' così?” Non è calzante, per esempio, dire a un bambino: “i bambini grandi non si comportano così”.

E’ indispensabile essere onesti con i bambini, chiarire loro che anche i grandi a volte si arrabbiano, è una cosa normale ma poi passa, va bene essere arrabbiati, ma non è giusto alzare le mani. Un altro atteggiamento da non proporre è la premessa di minaccia: “se fai…ti metto in castigo oppure se non metti tutto in ordine….sarai in punizione”. Il caso di bambini che giocano nella loro cameretta e poi si rifiutano di rimettere in ordine è molto ricorrente. In tal caso, anziché premettere una punizione può essere utile dare l’input e nella richiesta verbale è bene non dare importanza alla complessità del compito specificando “tutta la stanza” ma spostare l'obiettivo sull'iniziare. . Una volta iniziato il piccolo potrà trovare l'impulso di continuare. Magari le prime volte aiutare e far vedere come si fa. Di fronte ad atteggiamenti aggressivi è consigliabile evitare il classico, “fila in camera tua!” perché Isolare il bambino in camera trasmette il messaggio che c'è qualcosa di errato in lui, rassicurarlo e far sapere che voi siete lì per lui, pronti a riabbracciarlo appena si sarà calmato lo può aiutare a tranquillizzarsi.

Teniamo sempre a mente che i bambini sono aggressivi e capricciosi anche quando sono stanchi, affamati o troppo stimolati. Il fatto di sapere che nel momento in cui sono arrabbiati noi adulti siamo lì per loro per aiutarli aiuta loro a rilassarsi. Accompagnare questa rassicurazione con un gesto fisico quale una carezza o sedersi accanto a loro permette all'emozione negativa di sfociare e andare via. Questa fase di gestione della rabbia insegna la resilienza.

Il termine resilienza deriva dal latino “re-salio”, che tra i significati originari denotava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare. La resilienza, dunque, è la capacità di far fronte positivamente agli eventi traumatici, di riorganizzare la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre. Quando i bambini sono in preda a rabbia o  panico, spesso si sentono fisicamente in pericolo, per questo motivo far capire loro che sono al sicuro e che li sostenete, li aiuta a uscire dal disagio. Winnicott scriveva “crescere è di per sé un atto aggressivo” .

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"Trattate le persone come se fossero ciò che dovrebbero essere e aiutatele a diventare ciò che sono capaci di essere" 

W. Von Goethe

Pedagogia Clinica Conegliano - Dott.ssa Sara Cundari - Studio Pedagogico "Paideia"